Negli anni 70, sulle coste della piccola frazione di Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria, accanto all’oasi naturale del Pantano, venne costruita una liquichimica. Questo è un luogo familiare agli occhi di chi percorre la famosa statale 106, detta anche la strada della morte, che attraversa tutta la costa ionica. La fabbrica venne costruita con i finanziamenti del pacchetto Colombo, stanziati dallo Stato dopo i moti di Reggio: si pensava, così, di tenere a bada il malcontento dei reggini che si erano rivoltati allo spostamento del capoluogo a Catanzaro.
Per costruirla vennero devastati 2km di costa e 700.000 metri di terreno, che fino a quel momento venivano utilizzati per la raccolta del sale e per la coltivazione di bergamotto e di gelsomino. La fabbrica avrebbe dovuto produrre bioproteine e acidi grassi per mangimi derivanti dal petrolio, ma dopo pochi giorni di attività venne dichiarata troppo inquinante e i suoi prodotti altamente cancerogeni. Venne chiusa dopo 48 ore di attività, lasciando più di 700 operai senza lavoro e che rimasero per moltissimi anni in cassazione.
La liquichimica, che avrebbe dovuto dare il via allo sviluppo industriale di una delle zone più depresse d’Italia, rafforzò invece la criminalità organizzata, che ne fece il trampolino di lancio per la crescita delle sue attività e porto per scambi di merce clandestina. Diversi furono i tentativi di recupero dell’area, ma tutti falliti. Oggi è ancora lì, in abbandono. Ruggine, lamiere, mezzi di trasporto, ogni cosa ormai sembra essere armonicamente integrata in quei luoghi dagli stessi distrutti. La liquichimica è uno degli esempi emblematici di questa terra. Qui dove ogni giorno la bellezza convive con lo squallore, il senso di meraviglia con l’abbandono, l’orizzonte con la desolazione. Questo contrasto di cui questo luogo ci parla, è il racconto magico della danza tra il bene e il male, che qui, in Calabria, non avviene dietro alcun sipario ma della quale chiunque può diventarne spettatore.